E' tutto normale: normale che piova così al mese di Aprile, normale che abbia i piedi e le mani gelate, normale che sia immersa in una delle mie crisi mistiche. Certe volte vorrei uscire di me. Non capita mai che esca di me, che mi incazzi sana e felice e spazzi via un pò di nubi fredde da dentro. Sarebbe sano...forse dovrei parlarne alla strizzacervelli. In fondo di che ho timore? Di non tornare in me? Se anche fosse, non dovrebbe essere semplicemente indicativo del fatto che fino a quel momento io non ero pienamente me e poi lo sono divenuta?
mercoledì 11 aprile 2012
martedì 10 aprile 2012
Falsi Eroi
Mi vengono in mente tante cose,...una frase che dice che scrivere è per tutti perché risponde ad una esigenza, il sapore del thé alla menta e spezie che ho bevuto come pranzo perché non sto bene, la frase di una donna che mi dice che ha scelto per entrambe quello che io volevo ma non avevo il coraggio di scegliere, il mio gatto che fa le fusa sotto il letto, un'estate di un milione di anni fa a Milano in cui sapevo esattamente ciò che volevo per me.
Ogni giorno è così, ogni momento è così: affollato da ciò che io penso e da ciò che gli altri pensano per me.
Tanto che io vorrei solo ritrovare il capo del mio filo, il discorso interrotto da tutto quello che dentro la vita ci cade o che tiriamo dentro per non ascoltarci fino in fondo.
Quanta paura.
Volevo essere coraggiosa e non ci sono riuscita.
E quando ci ho provato poi la paura all'improvviso, di nuovo mi ha governata, da dentro, come fosse lei ad avere trovato il filo e lo tenesse teso per tirarmi qui e là dentro e fuori dai pensieri e dai gesti.
Un bacio coraggioso, un bacio che mi ricacci dentro come il fazzoletto di un mago la paura di svelare il trucco per essere liberi.
Non ce l'ho più: quel bacio.
Io non ce l'ho più e nemmeno quell'estate calda a Milano non ce l'ho più, ed è inutile stia qui a rifletterci sopra chiedendomi perché sia andata così. Le ragioni possono essere anche quelle che penso ma cosa cambia saperle ora per me? Ora che è me che devo riscrivere, perché scrivere è un'esigenza che mi strappa la faccia.
Io non sono capace di amare se amare significa costruire.
Io non sono capace di costruire.
Qualcuna mi ha detto che io non voglio costruire, pertanto io non voglio amare.
Sto in silenzio e chino il capo, è così....io non lo voglio.
Non ho le palle, non ho il coraggio, non ho la fatica di amare nessuna.
E' triste accorgersi di essere così, non si piange tanto per gli altri, che abbiamo ferito ma che ritroveranno ciò che cercano perché non né hanno paura; piango per me...disperatamente. Piango per la delusione che porto, per il dolore che porto, per la paura che porto.
Piango pensando che quell'Estate sapevo di volere la felicità, e avevo coraggio sul mio destriero giallo, profumavo di fresco e di olio del motore, mi reggevo su gambe magre e forti e Milano mi raccoglieva l'anima nella sua vasta moltitudine di sogni appiccicosi.
Oggi sento solo tanta stanchezza, un sonno che vuole solo essere un riparo.
Oggi vedo quel piccolo supereroe coraggioso, quella donna che si liberava e mi chiedo dove io l'abbia nascosta, dove il dolore di questo viaggio fino ad oggi l'abbia perduta....
E scrivo,...le scrivo.....sperando che torni...
Ogni giorno è così, ogni momento è così: affollato da ciò che io penso e da ciò che gli altri pensano per me.
Tanto che io vorrei solo ritrovare il capo del mio filo, il discorso interrotto da tutto quello che dentro la vita ci cade o che tiriamo dentro per non ascoltarci fino in fondo.
Quanta paura.
Volevo essere coraggiosa e non ci sono riuscita.
E quando ci ho provato poi la paura all'improvviso, di nuovo mi ha governata, da dentro, come fosse lei ad avere trovato il filo e lo tenesse teso per tirarmi qui e là dentro e fuori dai pensieri e dai gesti.
Un bacio coraggioso, un bacio che mi ricacci dentro come il fazzoletto di un mago la paura di svelare il trucco per essere liberi.
Non ce l'ho più: quel bacio.
Io non ce l'ho più e nemmeno quell'estate calda a Milano non ce l'ho più, ed è inutile stia qui a rifletterci sopra chiedendomi perché sia andata così. Le ragioni possono essere anche quelle che penso ma cosa cambia saperle ora per me? Ora che è me che devo riscrivere, perché scrivere è un'esigenza che mi strappa la faccia.
Io non sono capace di amare se amare significa costruire.
Io non sono capace di costruire.
Qualcuna mi ha detto che io non voglio costruire, pertanto io non voglio amare.
Sto in silenzio e chino il capo, è così....io non lo voglio.
Non ho le palle, non ho il coraggio, non ho la fatica di amare nessuna.
E' triste accorgersi di essere così, non si piange tanto per gli altri, che abbiamo ferito ma che ritroveranno ciò che cercano perché non né hanno paura; piango per me...disperatamente. Piango per la delusione che porto, per il dolore che porto, per la paura che porto.
Piango pensando che quell'Estate sapevo di volere la felicità, e avevo coraggio sul mio destriero giallo, profumavo di fresco e di olio del motore, mi reggevo su gambe magre e forti e Milano mi raccoglieva l'anima nella sua vasta moltitudine di sogni appiccicosi.
Oggi sento solo tanta stanchezza, un sonno che vuole solo essere un riparo.
Oggi vedo quel piccolo supereroe coraggioso, quella donna che si liberava e mi chiedo dove io l'abbia nascosta, dove il dolore di questo viaggio fino ad oggi l'abbia perduta....
E scrivo,...le scrivo.....sperando che torni...
sabato 7 aprile 2012
Inizio dall'inizio, quando io lo sapevo e tutti gli altri no, oppure l' inizio è quel aneddoto che racconta che tutti lo sapevano e io no.
O forse la verità è che mia madre ed io lo sapevamo e gli altri no.
Dicevano di me che sarei stato un maschietto, perché dalla pancia si vedeva, da quella forma chiusa, da quell'involucro misterioso dove stavo per ciò che ero senza importanza sesso e forma, senza diciture ed etichette.
Io allora lo sapevo, allora sapevo tutto, come tutti i bambini non ancora nati avevo il sapere degli alieni, avevo la saggezza della vita, la memoria dell'antico, la quiete del sonno/veglia.
Mia madre, come madre dice lei era invece pervasa da quel sapere preistorico che le dava la sicurezza che sarei stata femmina e che mi sarei chiamata come la bambola di mia sorella.
Così sembrava quasi già scritto che io sarei nata confusa, confusa al primo respiro, confusa al primo passo, confusa al primo nastro del grembiule di scuola.
Ma l'infanzia grazie al cielo è intrisa di confusione felice che sa di magia di scoperta, di prima esperienza, di ricerca di identità e una bambina con il grembiule corto e i capelli rasati è una delle tante bambine che la gente si diverte a chiamare "maschiaccio".
Quando mi domandano "da quando lo sai?" allora io che dovrei rispondere? Da quando me lo hanno detto? Da ora che tu me lo domandi? O semplicemente da sempre, da prima del sempre, da tutta questa vita che avrebbe dovuto essere solo mia e che invece è stata spesso più degli altri.
Fosse stato facile, fosse stato sempre divertente, fosse stato sempre "...così...come è..." forse non sarei qui a scrivere per mettere in ordine quella confusione che per tanto mi ha seguito, o magari poi sarebbe stato uguale, perché di confusi come me senza essere "come me" ce ne sono ovunque e dappertutto.
Ancora una volta arriva la primavera e insieme ai fiori arrivano le mie incertezze e le mie paure, la primavera di rinascita, la primavera di mutazione, la primavera che mi stravolge l'anima nell'attesa della quiete estiva, del "meriggiare pallido e assorto...".
Ancora una volta mi domando se era meglio restare dentro l'involucro dove non avevo definizione nè forma precisa.....ma poi, la verità è che la vita mi piace un sacco....
O forse la verità è che mia madre ed io lo sapevamo e gli altri no.
Dicevano di me che sarei stato un maschietto, perché dalla pancia si vedeva, da quella forma chiusa, da quell'involucro misterioso dove stavo per ciò che ero senza importanza sesso e forma, senza diciture ed etichette.
Io allora lo sapevo, allora sapevo tutto, come tutti i bambini non ancora nati avevo il sapere degli alieni, avevo la saggezza della vita, la memoria dell'antico, la quiete del sonno/veglia.
Mia madre, come madre dice lei era invece pervasa da quel sapere preistorico che le dava la sicurezza che sarei stata femmina e che mi sarei chiamata come la bambola di mia sorella.
Così sembrava quasi già scritto che io sarei nata confusa, confusa al primo respiro, confusa al primo passo, confusa al primo nastro del grembiule di scuola.
Ma l'infanzia grazie al cielo è intrisa di confusione felice che sa di magia di scoperta, di prima esperienza, di ricerca di identità e una bambina con il grembiule corto e i capelli rasati è una delle tante bambine che la gente si diverte a chiamare "maschiaccio".
Quando mi domandano "da quando lo sai?" allora io che dovrei rispondere? Da quando me lo hanno detto? Da ora che tu me lo domandi? O semplicemente da sempre, da prima del sempre, da tutta questa vita che avrebbe dovuto essere solo mia e che invece è stata spesso più degli altri.
Fosse stato facile, fosse stato sempre divertente, fosse stato sempre "...così...come è..." forse non sarei qui a scrivere per mettere in ordine quella confusione che per tanto mi ha seguito, o magari poi sarebbe stato uguale, perché di confusi come me senza essere "come me" ce ne sono ovunque e dappertutto.
Ancora una volta arriva la primavera e insieme ai fiori arrivano le mie incertezze e le mie paure, la primavera di rinascita, la primavera di mutazione, la primavera che mi stravolge l'anima nell'attesa della quiete estiva, del "meriggiare pallido e assorto...".
Ancora una volta mi domando se era meglio restare dentro l'involucro dove non avevo definizione nè forma precisa.....ma poi, la verità è che la vita mi piace un sacco....
il pane cuoce con i fiori
Questo è il sapore questa è la fragranza che mi sento addosso quando amo una donna.
Amo le donne. Di questo scrivo, perchè "Anche" questo sono...e molto altro.
Amo le donne. Di questo scrivo, perchè "Anche" questo sono...e molto altro.
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