domenica 11 novembre 2012

solitudini e miserie

Le grandi città proteggono gli infedeli pensava Alex mentre camminava sul pavimento liscio e antico di fronte alla Chiesa. Le grandi città proteggono i miserabili.. e io sono tra questi.
Non sapeva per quale motivo aveva ricevuto tanto amore, e al contempo tanto dolore dall' amore stesso. Né  come mai di quell'amore non sapesse mai contentarsi. Un forte senso di inadeguatezza le prendeva la mente persino dopo avere fatto sesso; come sè avere un orgasmo e godere si sè fosse qualcosa che la rendeva misera e sporca.
Cadere,....voleva e desiderava atrocemente provare quella sensazione di libertà assoluta che il cadere senza paura e vergogna poteva dare..., eppure tratteneva a sè il sè, per non morirne, per non perdersi. Tutto ciò che aveva avuto, sempre, in fondo...era proprio sè stessa. Nel bene e nel male, nella solitudine misera. Persino nei suoi 15 anni quando tutto era girato storto, quando la sua compagna di liceo della classe  a fianco l'aveva invitata al cinema in un pomeriggio di Dicembre e poi l'aveva portata a casa e l'aveva fatta sedere in poltrona "la poltrona di mio padre" le aveva annunciato.
Poi come se nulla fosse, le si era seduta addosso.

Alex aveva sentito il sangue ribollire e offuscare tutte le sue piccole piccolissime solitudini nascoste come se dal fondo impantanato della sua anima si levasse l'urlo sfrontato di qualcosa che riconosce di non essere solo.

Ma aveva taciuto.
Aveva taciuto e ingoiato; sì era alzata di scatto, goffa, e aveva detto "è ora che vada a casa".
E tutto era finito lì.
E di nuovo aveva solo sè stessa e i suoi grandi album di carta nella vecchia stanza a pian terreno.

Ora non ricordava nemmeno il nome di quegli occhi azzurri e quei capelli castano scuro che le avevano fatto sfiorare una libertà che avrebbe disperatamente rimpianto per tanti e troppi anni a seguire, scegliendo per paura di essere una storia qualsiasi, senza mai avere il coraggio di sentirsi "eccezionale" ma sempre solo "eccezione" per un tempo che aveva reso sempre più difficile riappropriarsi di sè stessa.

Così nel mescolare i ricordi mentre camminava sì trovò di fronte all'entrata della chiesa e guardando il portone antico pensò "infedele e miserabile" ed entrò.


venerdì 19 ottobre 2012

L'albero delle Giuggiole


Alex aveva le persone addosso e dentro mescolate a sé senza che più sapesse dire di chi fossero certi gesti ed abitudini e se altrettanto ora loro portassero qualcosa di lei addosso.


 
Si lavava i denti sotto la doccia bollente, aveva imparato a prendersi cura delle proprie mani, sapeva cucinare il cous cous, montare una tenda dritta, sfogliare libri illustrati e gettarsi nelle ceste dei mercati.
Se sedeva in certi scorci a Milano sapeva raccontare a sé stessa stralci di vita che ora aveva lasciato andare, ma che l’avevano emozionata, l’avevano scoperta e risvegliata.
Aveva condiviso fortemente, nonostante fosse stata accusata di egoismo e insensibilità ricordava l’amore nel profondo e conservava con il bene tutte le linee che le avevano disegnato addosso.

Solo due luoghi erano rimasti segreti.
Uno di questi ora le mancava.
Voleva prendere i propri piedi e andarci, voleva annusare un po’ l’aria, stare seduta e guardarsi intorno.


Alta Marea







Era caldo, caldo che non se lo ricordava nessuno così. Caldo che le persiane, al pomeriggio venivano calate per tagliare l’afa della città, e tornavano alte la sera sulle luci e sulle strade del centro.
Caldo che tutto sembrava muoversi a rilento, che i gatti stavano nascosti negli angoli vecchi delle pietre che ancora conservavano il fresco del passato, caldo che bisognava rifugiarsi nelle grandi librerie dove tra gli scaffali e l’aria condizionata pareva si potesse respirare di nuovo.
Alex aveva promesso che avrebbe scritto e avrebbe scritto. Per V. che glielo aveva chiesto giocando, con quel muso da gatta e il sorriso sulle lunghe labbra.
Alex scriveva e cancellava, sudava e scriveva, sudava, fumava, mangiava ghiaccioli al cedro.
Se chiudeva gli occhi tutto arrivava insieme: gli odori, la penombra della notte, il sapore della saliva di lei come unico dissetante di quel lunghissimo fare l’amore. Eppure verbalizzare sembrava impossibile. Ci aveva pensato, aveva scritto più volte dentro la sua testa, separando i momenti, dividendo le immagini per focalizzare meglio, ma la sola cosa che sentiva apparirgli in bocca era la parola “onda”.
V. era un’onda, V. si muoveva lenta e avvolgeva, penetrava la pelle, entrava negli occhi, bagnava il suo corpo con il proprio chiamando a se’ la luna e tutte le stelle che alex vedeva brillare nei suoi occhi semichiusi e persi.
Senza sapere quando….non c’era stato più tempo, non c’era stato più spazio, tutto era stato fermato, sospeso. Alex stava sopra l’onda e sotto l’onda, stava dentro V. e la respirava, mentre V. sembrava avere trovato dove scoppiare in tutta la sua energia. Qualcosa di antico e viscerale era dentro il corpo e il cuore di V. e piano piano lei lo lasciava cadere dentro alex lentamente e fortemente, con la potenza di una solitudine lontana che aveva trovato dove riposare la stanchezza.
Un milione di carezze. V. e il suo corpo erano un milione di carezze che si appoggiavano una dopo l’altra nella solitudine di alex, riconoscendone l’ euguale natura.
Ed alex non poteva che accoglierla, e raccoglierla. Non poteva fare altro che farsi grande il petto piccolo e spaccare il torace per permettere a V. di entrare ed espandersi.
E nell’ombra della notte, nel lento arrivare del giorno, a volte parlava piano a quell’orecchio piccolo dentro quel andare e venire, nel turbine ritmato di quel movimento alex parlava e sognava. Sognava quello stesso momento, sognava quella vita meravigliosa che aveva perduto il tempo e lo spazio, che non aveva luogo ma che stava in tutti quei luoghi che insieme, alex e V. sognavano di visitare. Parlava a V. per dirgli un milione di cose che non aveva mai detto:

Amore amore amore timore disonore paura, voglia, potenza orgoglio respiro e ancora paura, staiconmestaiconme… stai… con.. me, fuggire tornare costruire, anima mia, amore mio amore mio, prendimi le mani, tienimi le mani, dammi le tue note, prendi i miei respiri, amore, odio vergogna, prendo la tua vita, afferra la mia stai dentro ti tengo in me, abbiamo solo noi abbiamo tutto il mondo, tutte le cose del mondo, limoni, piante dell’aria, boschi, erba sotto i piedi, libri libri parole, luci e suoni, mangiamo con le mani, lavo la tua schiena, bacio i tuoi sorrisi……..























mercoledì 11 aprile 2012

essere o non

E' tutto normale: normale che piova così al mese di Aprile, normale che abbia i piedi e le mani gelate, normale che sia immersa in una delle mie crisi mistiche. Certe volte vorrei uscire di me. Non capita mai che esca di me, che mi incazzi sana e felice e spazzi via un pò di nubi fredde da dentro. Sarebbe sano...forse dovrei parlarne alla strizzacervelli. In fondo di che ho timore? Di  non tornare in me? Se anche fosse, non dovrebbe essere semplicemente indicativo del fatto che fino a quel momento io non ero pienamente me e poi lo sono divenuta?

martedì 10 aprile 2012

Falsi Eroi

Mi vengono in mente tante cose,...una frase che dice che scrivere è per tutti perché risponde ad una esigenza, il sapore del thé alla menta e spezie che ho bevuto come pranzo perché non sto bene, la frase di una donna che mi dice che ha scelto per entrambe quello che io volevo ma non avevo il coraggio di scegliere, il mio gatto che fa le fusa sotto il letto, un'estate di un milione di anni fa a Milano in cui sapevo esattamente ciò che volevo per me.
Ogni giorno è così, ogni momento è così: affollato da ciò che io penso e da ciò che gli altri pensano per me.
Tanto che io vorrei solo ritrovare il capo del mio filo, il discorso interrotto da tutto quello che dentro la vita ci cade o che tiriamo dentro per non ascoltarci fino in fondo.
Quanta paura.
Volevo essere coraggiosa e non ci sono riuscita.
E quando ci ho provato poi la paura all'improvviso, di nuovo mi ha governata, da dentro, come fosse lei ad avere trovato il filo e lo tenesse teso per tirarmi qui e là dentro e fuori dai pensieri e dai gesti.
Un bacio coraggioso, un bacio che mi ricacci dentro come il fazzoletto di un mago la paura di svelare il trucco per essere liberi.
Non ce l'ho più: quel bacio.
Io non ce l'ho più e nemmeno quell'estate calda a Milano non ce l'ho più, ed è inutile stia qui a rifletterci sopra chiedendomi perché sia andata così. Le ragioni possono essere anche quelle che penso ma cosa cambia saperle ora per me? Ora che è me che devo riscrivere, perché scrivere è un'esigenza che mi strappa la faccia.
Io non sono capace di amare se amare significa costruire.
Io non sono capace di costruire.
Qualcuna mi ha detto che io non voglio costruire, pertanto io non voglio amare.
Sto in silenzio e chino il capo, è così....io non lo voglio.
Non ho le palle, non ho il coraggio, non ho la fatica di amare nessuna.
E' triste accorgersi di essere così, non si piange tanto per gli altri, che abbiamo ferito ma che ritroveranno ciò che cercano perché non né hanno paura; piango per me...disperatamente. Piango per la delusione che porto, per il dolore che porto, per la paura che porto.
Piango pensando che quell'Estate sapevo di volere la felicità, e avevo coraggio sul mio destriero giallo, profumavo di fresco e di olio del motore, mi reggevo su gambe magre e forti e Milano mi raccoglieva l'anima nella sua vasta moltitudine di sogni appiccicosi.
Oggi sento solo tanta stanchezza, un sonno che vuole solo essere un riparo.
Oggi vedo quel piccolo supereroe coraggioso, quella donna che si liberava e mi chiedo dove io l'abbia nascosta, dove il dolore di questo viaggio fino ad oggi l'abbia perduta....
E scrivo,...le scrivo.....sperando che torni...

sabato 7 aprile 2012

Inizio dall'inizio, quando io lo sapevo e tutti gli altri no, oppure l' inizio è quel aneddoto che racconta che tutti lo sapevano e io no.
O forse la verità è che mia madre ed io lo sapevamo e gli altri no.
Dicevano di me che sarei stato un maschietto, perché dalla pancia si vedeva, da quella forma chiusa, da quell'involucro misterioso dove stavo per ciò che ero senza importanza sesso e forma, senza diciture ed etichette.
Io allora lo sapevo, allora sapevo tutto, come tutti i bambini non ancora nati avevo il sapere degli alieni, avevo la saggezza della vita, la memoria dell'antico, la quiete del sonno/veglia.
Mia madre, come madre dice lei era invece pervasa da quel sapere preistorico che le dava la sicurezza che sarei stata femmina e che mi sarei chiamata come la bambola di mia sorella.

Così sembrava quasi già scritto che io sarei nata confusa, confusa al primo respiro, confusa al primo passo, confusa al primo nastro del grembiule di scuola.
Ma l'infanzia grazie al cielo è intrisa di confusione felice che sa di magia di scoperta, di prima esperienza, di ricerca di identità e una bambina con il grembiule corto e i capelli rasati è una delle tante bambine che la gente si diverte a chiamare "maschiaccio".

Quando mi domandano "da quando lo sai?" allora io che dovrei rispondere? Da quando me lo hanno detto? Da ora che tu me lo domandi? O semplicemente da sempre, da prima del sempre, da tutta questa vita che avrebbe dovuto essere solo mia e che invece è stata spesso più degli altri.
Fosse stato facile, fosse stato sempre divertente, fosse stato sempre "...così...come è..." forse non sarei qui a scrivere per mettere in ordine quella confusione che per tanto mi ha seguito, o magari poi sarebbe stato uguale, perché di confusi come me senza essere "come me" ce ne sono ovunque e dappertutto.

Ancora una volta arriva la primavera e insieme ai fiori arrivano le  mie incertezze e le mie paure, la primavera di rinascita, la primavera di mutazione, la primavera che mi stravolge l'anima nell'attesa della quiete estiva, del  "meriggiare pallido e assorto...".
Ancora una volta mi domando se era meglio restare dentro l'involucro dove non avevo definizione nè forma precisa.....ma poi, la verità è che la vita mi piace un sacco....

il pane cuoce con i fiori

Questo è il sapore questa è la fragranza che mi sento addosso quando amo una donna.
Amo le donne. Di questo scrivo, perchè "Anche" questo sono...e molto altro.